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Uovo

L’uovo è un ingrediente presente in numerosi piatti delle cucine di tutto il mondo. Il più utilizzato è l’uovo di gallina ma si consumano anche le uova di altri volatili: quaglia, anatra, oca e struzzo. Nell’uso corrente il termine uovo senza altre precisazioni indica l’uovo di gallina. Le uova utilizzate in cucina non devono essere fecondate e devono essere fresche ossia deposte da meno di 28 giorni. Si possono consumare anche uova di pesci (caviale, bottarga, uova di lompo), di tartarughe e persino di insetti.

Un uovo è composto generalmente da: acqua 65,5%, proteine 12%, grassi 11% e minerali 11,5%. Le uova forniscono quindi una quantità significativa di proteine e altre sostanze nutrienti quali vitamine e minerali. Le vitamine A, D ed E dell’uovo sono contenute nel tuorlo. Il tuorlo costituisce il 33% circa del peso netto dell’uovo, contiene tutto il grasso, un po’ meno di metà delle proteine e gran parte delle sostanze nutrienti. Il tuorlo apporta circa 60 calorie (250 kJ), mentre l’albume circa 15 calorie (60 kJ).

Le uova di gallina vengono catalogate in base alla grammatura. A tale scopo, vengono usate le seguenti sigle:
XL – più di 73 grammi
L – tra i 63 e i 73 grammi
M – tra i 53 e i 63 grammi
S – meno di 53 grammi

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Pepe nero, bianco e verde sono prodotti dalla stessa pianta.

L’albero del pepe è una pianta rampicante sempreverde originaria dell’India che raggiunge i quattro metri di altezza. Cresce nella giungla umida ed è ora coltivata ovunque nei tropici. I fiori sbocciano su un gambo pendulo che raggiunge la lunghezza di circa dieci centimetri quando i frutti sono maturi. Le piante producono frutti dal terzo anno e continuano a fruttificare per circa sette. Un singolo ramo produce in media dai venti ai trenta germogli. La raccolta inizia prima che i frutti arrivino a maturazione.

Questa bacca fu una delle prime merci scambiate tra l’Oriente e i paesi europei ed è forse la più conosciuta delle spezie.

Pepe nero. Viene prodotto dal frutto acerbo della pianta di pepe. I frutti brevemente sbollentati in acqua calda vengono successivamente essiccati al sole o in appositi essiccatoi. La rottura della polpa, durante l’essiccamento, velocizza l’annerimento del grano di pepe.

Pepe bianco. E’ dato dal solo seme del frutto. Il frutto del pepe viene tenuto a bagno per circa una settimana per favorire l’eliminazione della polpa. Il seme è successivamente essiccato. Processi alternativi sono usati per rimuovere la polpa dal frutto compresa la rimozione della pelle essiccata del pepe nero.

Pepe verde. Come il pepe nero viene prodotto dal frutto acerbo ma nel procedimento di essiccazione viene trattato in modo da mantenere il colore verde del frutto. I grani verdi interi non essiccati possono essere conservati in salamoia o sotto aceto.

I grani di pepe, sia nero che bianco, vengono aggiunti nelle salamoie e nei brodi di cottura di carne e pesce. Macinati al momento danno sapore ogni tipo di piatto piccante. Il pepe nero e quello bianco sono disponibili anche in polvere ma l’aroma risulta meno pungente.

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Cucina coreana

Di solito un pasto coreano si apre con una serie di frittatine, di verdure, erbette aromatiche, cipollotti e platessa, anche se la tradizione non prevede il succedersi delle portate. I piatti principali vengono serviti tutti insieme in tavola e ogni commensale se ne serve a piacimento.

I tre piatti più tipici, a parte il riso bianco che non è considerato un contorno ma un vero e proprio piatto principale, sono il kimchi, il bulgoghi e il bibimpap.

Il kimchi è un piatto di verze e altre verdure fermentate in salsa di soia, spezie e aglio.

Il bulgoghi sono straccetti di manzo marinati in salsa di soia e spezie e cotti nel bulpan, padella di ghisa portata a tavola ancora fiammeggante oppure sul guy, sorta di barbecue posto a centro tavola in modo che siano gli ospiti a cuocersi la carne da soli.

Il bibimpap è riso saltato e condito con salsa di soia, spezie, verdure e uova fritto.

Tra i dolci, in verità pochi, i più popolari sono il siru-tteok (tortino di riso dolce al forno) e i songpyeon (gnocchetti di riso dolce con pinoli) fatti in occasione del Chuseok, festa autunnale simile al giorno del Ringraziamento.

A tavola si beve birra o soju, bevanda ricavata dalle patate dolci con tasso alcolico attorno ai venti gradi.

Si mangia con le bacchette o il cucchiaio per la zuppa che, diversamente dalla nostra tradizione, chiude il pasto.

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Alchechengi

E’ una bacca di colore arancio brillante curiosamente protetta da un involucro simile alla carta velina. Il frutto è dolce e leggermente acidulo. La specie botanica di questa erbacea di origine peruviana cresce spontenea in diverse parti del mondo. Attualmente viene coltivata in Europa, Asia e Americhe. I frutti liberati dall’involucro si consumano freschi. Possiedono notevoli proprietà farmacologiche, esercitano azione diuretica, lassativa, antiurica e antigottosa. Con le bacche secche si ottengono ottimi infusi. Le bacche possono essere mangiate al naturale, aggiunte a macedonie, per decorare dolci o tuffate nel cioccolato fondente come si usa fare in Lombardia. Gli alchechengi si conservano in luogo fresco per diverso tempo.

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A cena con Annie in un diner di Manhattan oppure a pranzo da Hannah e le sue sorelle il Giorno del Ringraziamento e ancora in un bistrot di Parigi, al Gritti di Venezia o in un pub londinese. Woody Allen sorprende anche per come utilizza nei suoi film il cibo e le bevande. Che sia per far pensare e sentirsi più intelligenti, per sognare gli amori più dolci e frustranti, per parlare e parlare con gli amici, per descrivere nevrosi da raccontare sul lettino dello psicanalista, in ogni caso il cibo è spesso il contorno giusto della narrazione del grande regista americano. Da “Ciao Pussycat” a “Vicky Cristina Barcelona” il percorso è lungo, ricco di sorprese e di riferimenti culinari inaspettati.

Luca Glebb Miroglio ha scritto anche “Alla ricerca della madeleine. A tavola con Marcel Proust” e “Cuoche sull’orlo di una crisi di nervi. A tavola con Pedro Almodovar”. Vive a Torino, si occupa di comunicazione aziendale, si interessa di psicanalisi e delle numerose implicazioni che il cibo ha con l’arte, la letteratura e il cinema.

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“Non è vero che un uomo cambia ubriacandosi, è da sobrio che è diverso!”

Thomas De Quincey, Confessioni di un mangiatore d’oppio

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Come apparecchiare la tavola

La tavola deve essere abbastanza grande, in modo che i commensali siano a proprio agio, ma non troppo grande, con distanze eccessive tra un invitato e l’altro. In pratica il numero dei commensali deve essere proporzionale alle dimensioni della tavola, rotonda, ovale, rettangolare o quadrata che sia.

La tovaglia può essere di lino, di cotone, a disegni o in tinta unita, l’importante è che sia adatta per il tipo di invito e che si accordi con i piatti.

Al posto della tovaglia si possono usare le tovagliette all’americana, una per ogni commensale ma è preferibile utilizzarle per occasioni informali e soprattutto solo a colazione.

L’eventuale centrotavola deve essere basso e poco ingombrante per non ostacolare i movimenti e non impedire la vista ai commensali.

I piatti, posati su sottopiatti o direttamente sulla tovaglia, si dispongono ad uguale distanza l’uno dall’altro. Se sono decorati con disegni, fregi o stemmi, questi devono essere rivolti verso il bordo del tavolo, in modo che la persona seduta possa vederli nella loro corretta posizione.

Quando il servizio è effettuato da uno o più camerieri si apparecchia un solo piatto, a pranzo se c’è la minestra in brodo si mettono anche i piatti fondi o le tazze per il consommè e i camerieri provvedono a cambiare i piatti per le altre portate. Quando invece non c’è servizio, si possono apparecchiare fino a tre piatti, per l’antipasto, il primo e il secondo. Gli altri saranno a portata di mano su un tavolino o su un carrello.

Ovviamente il numero di piatti necessari varia a seconda delle portate del menu e lo stesso vale per le posate. La loro posizione è comunque fissa: alla sinistra del piatto le forchette e alla destra i coltelli, con la lama rivolta verso il piatto e il cucchiaio da minestra. Forchette e coltelli da pesce posti più esterni rispetto alle posate normali. Le posate da dessert si dispongono orizzontalmente davanti al piatto, la forchetta con il manico volto verso sinistra e il cucchiaio verso destra. Tra i due può essere inserito anche il coltello da frutta nello stesso senso del cucchiaino.

Oggi non si usa più apparecchiare le posate con i rebbi delle forchette e l’incavo del cucchiaio all’ingiù. Un tempo invece questa disposizione era di regola per mostrare le cifre incise sulle posate.

I bicchieri vanno messi leggermente a destra del piatto davanti al coltello. Devono essere almeno due, uno per l’acqua più grande e alla sua destra uno più piccolo per il vino. Se si servono più vini il numero dei bicchieri aumenta sino a un massimo di quattro. I bicchieri per il vino vanno sempre posti a destra di quello per l’acqua.

Il tovagliolo si posa sul piatto o a fianco delle posate: alcuni lo mettono a destra, altri a sinistra. Per pranzi non molto importanti può anche essere piegato artisticamente e infilato in un bicchiere.

Davanti ad ogni coperto a volte si mette un cartellino con il nome del commensale. L’uso dei segnaposto è consigliabile soprattutto quando gli invitati sono numerosi.

Il pane viene portato a tavola in appositi cestini portapane. A volte, anche se in Italia non e’ molto frequente, si apparecchiano dei piattini per il pane a sinistra del piatto davanti alle forchette.

Sulla tavola non possono mancare sale e pepe. Altri oggetti come la formaggera, la salsiera o le coppette lavadita, vengono portati a tavola solo quando sono necessari.

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Lattuga

La globosa è la più comune e si chiama trocadero o cappuccina. Ricorda una grossa rosa dalle grandi e tenere foglie verdi e dal cuore giallo. Ha sapore dolce.

Della stessa varietà a palla ma con con foglie ben più avvolte l’una sull’altra è l’iceberg detta anche brasiliana. Le sue larghe foglie hanno sapore meno dolce della trocadero ma un’ineguagliabile croccantezza e pochissimo scarto.

Tondeggiante anche la varietà toscana detta pesciatina con foglie bollose, rosseggianti e molto tenere.

La varietà lollo, l’insalata che più profuma d’orto, la foglie di quercia e la canasta hanno tutte foglie ben ondulate, verdi, bionde o rossicce, tenerissime e piacevoli al gusto. Una caratteristica dell’insalata foglie di quercia  rossa è il sapore  che ricorda vagamente quello della noce.

La lattuga gentilina, con foglie più spesse della trocadero, arricciate, verdi o rosse e con il cuore più aperto ha sapore neutro e profumo delicato.

Le insalate romane hanno foglie allungate con nervatura assai carnosa. Si utilizzano anche cotte. Il loro sapore tende leggermente all’amarognolo.

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“Lei mi sta scavando sotto, mi toglie la panna, la castagna da sola sopra non ha senso. Il Mont Blanc non è come un cannolo alla siciliana che c’è tutto dentro, è come uno zaino: lei se lo porta appresso per un mese e sta sicuro. Il Mont Blanc si regge su un equilibrio delicato, non è come la Sacher Torte.”  “Cosa?”  “La Sacher Torte…”  “Cos’è?”  “Cioé lei praticamente non ha mai assaggiato la Sacher Torte?”  “No.”  “Va be’ continuiamo così, facciamoci del male.”

Nanni Moretti, Bianca

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Nelle Alpi Apuane il lardo di Colonnata è ricavato dallo strato adiposo della schiena di suini di grossa stazza, provenienti dalla Toscana e da altre regioni italiane. Ridotto a pezzi regolari, viene prima aromatizzato con pepe, cannella, chiodi di garofano, salvia, rosmarino e aglio e poi fatto maturare in ampi recipienti di marmo non poroso, le cosiddette “conche” spesso strofinate all’interno con aglio per rendere le pareti meno permeabili.  Le vasche che contengono i pezzi di lardo sistemati a strati vengono chiuse con una lastra di marmo e il tutto è lasciato stagionare per almeno sei mesi.

Di colore bianco leggermente rosato il lardo di Colonnata ha profumo delicato, leggermente dolce, con ricordi di erbe aromatiche e spezie. La consistenza è tenera quasi fondente.

Si conserva in luogo fresco avvolto in un panno umido.

Il lardo di Colonnata va tagliato a fettine molto sottili ed è ottimo servito sul pane tostato. In cucina barda volatili da cuocere al forno, ammorbidisce farcie e si avvolge attorno a ostriche e gamberi da cucinare allo spiedo.

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